Nagarjuna e la Filosofia della Vacuità
Svelare la Realtà per la Liberazione nel Buddhismo Mahayana

Introduzione a Nagarjuna nel Pensiero Orientale
Nel panorama del pensiero orientale, Nagarjuna, maestro buddista fiorito nel II secolo d.C., emerge come figura cardine, universalmente riconosciuto come il primo e fondamentale sistematizzatore degli insegnamenti del Buddismo Mahayana. La sua complessa e densa filosofia si concentra su un concetto rivoluzionario: la Śūnyatā, traducibile come vuoto o vacuità. Ma questo “vuoto” non è un’assenza nichilistica, bensì un “vuoto di Svabhāva”, ovvero la fondamentale mancanza di identità intrinseca, di natura propria o di sostanzialità nelle cose.
La Vacuità e l’Estensione della Dottrina dell’Anatman
Questa intuizione radicale estende e approfondisce l’antica dottrina buddhista dell’Anatman (non-sé), che già negava una sostanzialità all’individuo. Nagarjuna porta questa non-sostanzialità a ogni fenomeno esistente. La sua opera si sviluppa come una critica interna e polemica al buddismo del suo tempo, in particolare alla scuola dei Sarvāstivādin. Questi ultimi, pur affermando l’impermanenza, introducevano l’idea di un’esistenza “primaria” per i dharma – i costituenti minimi della realtà –, attribuendo loro una forma di Svabhāva. Tale sostanzialità implicita era, per Nagarjuna, in contraddizione con gli assunti fondamentali del Buddismo.
La Pratītyasamutpāda e il Fondamento della Vacuità
Il cuore della vacuità, e la sua stessa ragione d’essere, risiede nella Pratītyasamutpāda (co-originazione dipendente). I fenomeni sono vuoti di natura propria, proprio perché la loro esistenza è interamente condizionata, relazionale e interdipendente. Non esiste nulla di autonomo, irrelato o stabile. La vacuità non è un dogma astratto, ma la conclusione ineludibile di un’osservazione sperimentale della realtà: tutto ciò di cui facciamo esperienza è il risultato di relazioni e concatenazioni di cause e condizioni.
La Scuola Madhyamaka e il Metodo Dialettico
La scuola fondata da Nagarjuna, la Madhyamaka, è significativamente denominata la “Scuola della Via di Mezzo“. Questa “via di mezzo” è un approccio dialettico che rifiuta sistematicamente entrambi gli estremi: sia l’eternismo o sostanzialismo (“dire c’è”) sia il nichilismo (“dire non c’è”). Nagarjuna impiega il tetralemma – le quattro alternative logiche (X è; X non è; X è e non è; X né è né non è) – per negare ogni possibile affermazione ontologica riguardo a qualsiasi fenomeno o concetto. Questa metodologia, nota come Prasaṅga (negazione non implicante), smantella le pretese logiche e ontologiche degli avversari senza proporre a sua volta una nuova tesi. La negazione non implica un’affermazione opposta, evitando così di cadere in una nuova forma di sostanzialismo. L’obiettivo è evidenziare i limiti intrinseci del pensiero discorsivo nel cogliere la realtà ultima.
Soteriologia e Funzione Terapeutica della Filosofia di Nagarjuna
L’intento ultimo di questa sofisticata dialettica non è puramente teorico, ma profondamente soteriologico: sradicare la sofferenza (dukkha). La critica di Nagarjuna è diretta a decostruire la “tendenza appropriativa” del pensiero (Prapañca), quella proliferazione concettuale che, attraverso il linguaggio, attribuisce solidità e consistenza alle cose, alimentando l’attaccamento e, di conseguenza, il disagio esistenziale. La vacuità è, quindi, uno strumento terapeutico e auto-abolitivo, non una nuova teoria da abbracciare. Come affermato da Nagarjuna stesso:
“Chi fa del vuoto una teoria è un incurabile“
Essa è una “designazione linguistica” o una metafora, uno strumento per un fine, non il fine stesso.
La Dottrina delle Due Verità
Per conciliare l’efficacia pratica del suo insegnamento con la sua radicalità logica, Nagarjuna introduce la dottrina delle “Due Verità“:
- Verità Relativa (o Convenzionale/Mondana): il piano della nostra esperienza quotidiana, dei codici, delle convenzioni e del linguaggio. Questo piano è indispensabile come mezzo per insegnare e progredire verso la verità ultima. È il “recipiente” necessario per “bere l’acqua” della salvezza.
- Verità Ultima: la realtà al di oltre ogni concettualizzazione e linguaggio, che si manifesta solo quando la tendenza appropriativa del pensiero è estinta.
Nirvana Come Trasformazione dello Sguardo
In questa visione, il Nirvana non è una trasformazione ontologica del mondo, bensì un radicale cambiamento dello “sguardo” del percipiente. Lo stesso mondo che, per chi è incatenato dalle dinamiche appropriative, è sperimentato come Samsara, una volta sradicate tali dinamiche, è Nirvana. Il linguaggio e i concetti, quindi, hanno una funzione eminentemente strumentale e terapeutica, finalizzata a de-ontologizzare ciò che il pensiero tende a fissare e sostanzializzare.
Conclusione: La Filosofia di Nagarjuna Come Percorso di Liberazione
La filosofia di Nagarjuna, sebbene complessa e talvolta percepita come “ad altissimo rischio disgregativo” o nichilistico, offre un percorso profondo verso la liberazione dalla sofferenza. Essa si realizza non attraverso l’adesione a nuove affermazioni dogmatiche, ma mediante la radicale decostruzione delle nostre abitudini mentali e linguistiche che generano l’attaccamento. Questo implica un distacco non come rinuncia al mondo, ma come una modulazione del rapporto con sé stessi e con le cose, un indebolimento del “senso del sé” che porta a una chiara esperienza dell’interconnessione di ogni fenomeno. È un invito a riconoscere la precarietà e la fragilità dell’esistenza, non per allontanarsi, ma per relazionarsi al mondo in un modo non più schiavo delle passioni e dei desideri.