Bhagavad-Gita cap. 6: meditazione e dedizione

All’inizio del sesto capitolo, Kṛṣṇa riassume le sue tesi del capitolo precedente: «Colui che è distaccato dai frutti del proprio lavoro e che opera come se fosse obbligato, è nell’ordine di rinuncia della vita ed è un vero mistico: non colui che non accende alcun fuoco e non svolge alcun lavoro». Il vero sannyāsa, o rinuncia, è raggiunto attraverso il distacco dai risultati mondani del karma, mentre si consacra sé stessi con devozione a Dio. Ciò è rafforzato dalla conoscenza trascendente.

Questo capitolo a volte è chiamato atma-jñāna da alcuni commentatori. Nell’edizione di Bhaktivedānta Swāmi, saṃkhya-yoga. Noi seguiamo Baladeva Vidyābhushana e Śrīdhar Swāmi, dove compare come dhyāna-yoga, ossia lo “yoga della meditazione”.

La stessa parola “yoga” ha diversi significati e connotazioni. Generalmente si dice che significhi “aggiogare” e sta a significare il modo in cui siamo collegati ad un potere superiore. Aggiogare due buoi insieme consente uno spostamento, misurato in sanscrito con un’unità di misura chiamata yojana. Un “aggiogamento” allora si riferisce non solo al legame fisico tra buoi, ma ad un percorso avviato mettendo insieme un processo. In questo senso, la parola yoga significa anche “il sentiero”.

Dunque, lo chiamiamo percorso del karma, percorso della conoscenza o dello yoga in otto parti. Questo può confondere, nel senso che sembra si stia parlando di un certo numero di percorsi diversi, mentre l’obiettivo è lo stesso. Abbiamo visto che quando l’atma è esposta alla vera conoscenza trascendente della relazione tra l’anima e l’Anima Suprema, essa diviene illuminata e naturalmente tende a dedicare tutte le azioni all’amore divino, ossia il bhakti-yoga. Un’anima veramente realizzata, giungerà alla conclusione che l’azione dedicata con amore al divino è la migliore forma di conoscenza. Quindi, sia il karma che lo jñāna culminano nella bhakti. Questo è il ritratto dei primi cinque capitoli della Bhagavad-Gita.


La   meditazione

Mettendo da parte questa sintesi tra karma e jñāna, come insegnata da Kṛṣṇa, molti cercatori della verità sono attratti dall’idea di realizzare la conoscenza trascendente attraverso la sola meditazione. Forse tutto il sacrificio non è necessario, pensano. Perché dedicare le proprie azioni a Dio se possiamo realizzare il divino attraverso la meditazione? Forse il percorso della sola meditazione sarà più semplice e più efficace di quello del sacrificio e della dedizione.

Arjuna è incuriosito dal sentiero della meditazione come sforzo a sé stante. Se quello che dice Kṛṣṇa a proposito dell’anima eterna è vero, forse è tempo di sedersi e meditare. Può abbandonare lo strazio dei campi di battaglia, scansare i propri doveri e meditare sul sé eterno. Che dire dello yoga meditativo come mezzo di salvezza?

Kṛṣṇa ha parlato dello yoga nelle sue varie forme, Arjuna vuole sapere come realizzare il proprio sé attraverso la meditazione dello yoga. E dal momento che ha espresso interesse verso la comprensione della natura della meditazione, Kṛṣṇa espande la comprensione dello yoga mistico nel sesto capitolo, chiamato “lo yoga della meditazione”, dhyana-yoga.

Kṛṣṇa conosce la mente del suo amico. Comincia a spiegare, quindi, il sentiero della meditazione o dhyāna-yoga ed a mostrare come lo yoga può condurre alla perfezione. Ed ancora, perfino la meditazione non può essere separata dalla dedizione. Alla fine, la perfezione non dipende dal conoscere la divinità, ma dall’amore divino.

Ma siccome sta affrontando tutte queste idee sistematicamente, qui tratterà il sentiero dello yoga in otto parti quai come una questione separata, dal momento che ha già spiegato come tutti questi sentieri convergano.

Un sincero ricercatore della verità troverà che karma-yoga, jñāna-yoga, e sannyāsa-yoga, o rinuncia, conducono tutti alla dedizione. Ed allora, Kṛṣṇa dice: «Non c’è alcuna differenza fra la rinuncia, così come te l’ho spiegata, e lo yoga».


La   dedizione

Kṛṣṇa ha messo in evidenza che la rinuncia non è una questione di mostrare esteriormente la propria abnegazione, ma la sincerità interiore che accompagna la vera dedizione alla divinità. Non c’è possibilità di praticare veramente lo yoga se non si rinuncia ai propositi egoistici. In questo senso, la rinuncia all’interesse personale è vero yoga.

Dunque, i principianti sul sentiero vedranno la salvezza attraverso gli strumenti: l’azione, per esempio. L’azione o karma, è tangibile e concreta. Quando possiamo vedere che un lavoro viene concretamente fatto, capiamo che si sta progredendo. Dunque, specialmente per i neofiti, l’azione sarà il mezzo per raggiungere lo yoga: possiamo vedere i risultati. Su un livello più sottile, comunque, l’intenzione e la sincerità condurranno ad una realizzazione più elevata. Ma questo è più difficile da riscontrare dal di fuori. Si ottiene la completa tranquillità abbandonando l’attaccamento all’azione. Ma perfino colui che ha abbandonato l’attaccamento, ancora agisce. Quindi, è difficile vedere la differenza tra un’anima realizzata che agisce senza attaccamento ed un materialista che agisce per il profitto ed il guadagno. Entrambe sono coinvolti nella stessa azione. La differenza è interiore.

Per questo motivo, i neofiti preferiscono i rituali; sono più facilmente visibili. Il proprio sacrificio interiore non è sempre facile da vedere per gli altri.

Ed ancora, alla fine la realizzazione del sé è personale. Ci può essere una piccola evidenza esteriore del proprio lavoro spirituale interiore. Per questa ragione, Kṛṣṇa dice che per lo yogi neofita, l’azione è detta essere il mezzo; mentre per chi ha già ottenuto lo yoga, il totale non-attaccameno alle attività karmiche è detto essere il mezzo.

Controllare la mente attraverso lo yoga

Egli continua: «Quando si è distaccati sia dai sensi che dalle azioni e perfino alla volontà di agire, e si è oltre il bisogno di avere uno scopo, allora si è ottenuto lo yoga». Kṛṣṇa qui spiega la natura dell’abnegazione di uno yogi. Indifferente ai gusti personali, con la completa arresa alla volontà di Dio, lo yogi abbandona l’ego. In questo modo, si rende possibile controllare la mente ed i sensi, giacché una volta assorto nel Supremo, lo yogi diventa estatico e rigetta gli stimoli dei sensi.

Se i sensi ci forniscono certi impulsi, la mente accetta questi impulsi pensando “mi piace questo, mi piace quello”. Quando la mente corre dietro a ciò che temporaneamente piace e non piace ai sensi, diventa incontrollabile. Quando la mente è fuori controllo, noi ci perdiamo nell’inseguimento dei fuggevoli impulsi dei sensi. In questo modo, dimentichiamo la nostra natura spirituale e l’ego si lascia coinvolgere nella vita materiale. Controllare la mente attraverso lo yoga ci aiuterà a raggiungere la pienezza e la soddisfazione spirituale.


 

Traduzione autorizzata dall’autore Michael Dolan/B.V. Mahayogi

Originl link: https://bit.ly/2OtJeKE

Photo credits:
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foto 2: Image by John Hain from Pixabay

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